Indagine della Sapienza di Roma su 4.000 dipendenti di grandi aziende private
Questi, in sintesi, alcuni dei quesiti contenuti in un’indagine della Sapienza di Roma i cui risultati preliminari (circa 700 su quasi 4000 le persone finora intervistate) sono stati presentati a Roma al Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), in occasione dell’evento “Donna, salute e lavoro” promosso dai docenti dei dipartimenti di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, di Ginecologia ed Ostetricia e di Management della Sapienza Università di Roma.
Un confortante 90% degli intervistati (il totale è costituito per il 46% da donne, di cui il 78% con figli, e per il 54% da uomini, di cui l’81% con figli e per il 94,4% di età compresa tra i 35 e 55 anni) ritiene che la produttività della donna al lavoro non sia messa in alcun pericolo a causa della gravidanza e solo un 16% degli intervistati concorda invece con l’affermazione che la gravidanza renda la donna fisicamente limitata al lavoro, lasciando spazio ad un altro confortante 87% di intervistati che ha confermato di non aver percepito alcun tipo di diminuita efficienza e capacità sul lavoro da parte della propria collega in stato di gravidanza.
Se da un lato più squisitamente personale, l’evento gravidanza in azienda sembra venir accolto e vissuto con una certa serenità ( l’87,5% delle donne ha dichiarato di aver comunicato quasi subito la notizia a colleghi e superiori, che nel 55% dei casi hanno reagito positivamente), dall’altro, il 78% degli intervistati continua a ritenere che la maternità rappresenti un limite alle opportunità di carriera di una donna e il 49% pensa che non sia conciliabile con il lavoro quando il contesto è altamente competitivo.
“In Italia – ha dichiarato Donatella Caserta, professore ordinario di Ginecologia ed Ostetricia alla Sapienza Università di Roma e presidente del Congresso – la gravidanza in età avanzata (il 34,7% delle donne partorisce dopo i 35 anni) non è dovuta solo a ragioni meramente economiche (il 99,2% del campione intervistato è assunto con contratto a tempo indeterminato), ma, piuttosto, è causata dalla paura della donna di essere tagliata fuori da ogni possibile progressione di carriera, avanzamento economico o di essere segregata ad anello debole della catena produttiva al suo rientro”.
Del resto, lo scenario complessivo resta allarmante: se da un lato, negli ultimi venti anni il numero di donne lavoratrici in Italia è cresciuto del 22,2%, in netta controtendenza rispetto a quello maschile che invece è sceso dello 0,3%, dall’altro, i dati occupazionali per coloro che decidono di affrontare la maternità, sono decisamente sconfortanti, per non dire un vero e proprio deterrente. In Italia, infatti, la percentuale di donne ancora occupate dopo il primo figlio è del 59%1, una percentuale di gran lunga inferiore rispetto a quella delle colleghe europee; rispetto alle tedesche che sono il 74%, rispetto alle svedesi, che continuano a lavorare nel 81% dei casi e rispetto alle spagnole, che si attestano sul 63%.