La fotografia dei comportamenti prescrittivi dei farmaci nelle persone con diabete
I dati del rapporto OsMed 2012 dell’AIFA relativi al diabete evidenziano un’intensificazione dei trattamenti e anche un moderato incremento dell’appropriatezza prescrittiva, pur con margini di miglioramento.
Nel diabete tipo 1, nell’arco temporale 2004-2011, si è avuta una radicale modifica nel trattamento insulinico, con il progressivo abbandono delle insuline con durata d’azione intermedia e premiscelate, e l’adozione dei regimi cosiddetti “basal-bolus”, che mimano meglio la risposta fisiologica dell’insulina endogena. Anche l’utilizzo della tecnologia dell’infusione continua sottocutanea, attraverso microinfusori, è raddoppiata nel periodo di osservazione: oggi è utilizzata dal 16,5% delle persone con diabete tipo 1, con una maggiore frequenza di utilizzo nella donna e indipendentemente dalla durata della malattia e dalla fascia di età. “I cambiamenti terapeutici si sono tradotti in un miglioramento del controllo metabolico, con un lieve aumento, dal 20,6 al 23,2%, delle persone con diabete tipo 1 con emoglobina glicosilata (HbA1c) sotto il 7%, ma soprattutto con la parallela riduzione della proporzione di quelle con valori di HbA1c francamente elevati (oltre 8%): da 51,6 a 44,2%, meno 7,4 punti in valore assoluto. Esistono, come è lecito attendersi, differenze su base regionale sulle quali proprio grazie al progetto Annali, AMD e la rete diabetologica nazionale stanno lavorando attivamente per mettere in atto attività di miglioramento”, commenta Carlo Giorda, Presidente Fondazione AMD.
Per quanto riguarda il diabete tipo 2, quasi 2 persone con diabete su 3 sono in trattamento con ipoglicemizzanti orali o farmaci iniettabili diversi dall’insulina (definiti nel complesso “iporali”), mentre tra chi è in cura con insulina, il 50% è trattato con sola insulina e il 50% con iporali associati a insulina. I farmaci di gran lunga più impiegati sono la metformina e i secretagoghi (sulfaniluree e glinidi), rispettivamente nel 65,5% e nel 49,6% della popolazione diabetica. In termini di schemi terapeutici, oltre il 50% delle persone con diabete tipo 2 è curato con 1 o 2 ipoglicemizzanti orali, mentre solo una piccola quota (6,8%) con 3 o più. Il 15,6% utilizza solo insulina e un altro 15,6% insulina combinata a ipoglicemizzanti. Non si registrano sostanziali differenze prescrittive legate al sesso, mentre differenze marcate riguardano le fasce di età e durata di malattia. Nelle persone più anziane e con più lunga durata di malattia sono infatti maggiormente impiegate glinidi e insuline. La prescrizione dei nuovi farmaci incretino-mimetici (inibitori del DPP-IV e agonisti del GLP-1) è più bassa nelle fasce di età più avanzate. “Negli anni dal 2004 al 2011 è nettamente aumentato l’uso di tutte le classi di farmaci ipoglicemizzanti, a parte le insuline intermedia e premiscelata, cadute quasi totalmente in disuso, e le sulfaniluree. Gli incrementi più rilevanti riguardano l’utilizzo di metformina e insulina basale. L’analisi degli schemi terapeutici mostra un aumento della quota di persone in trattamento, un aumento della tripla terapia orale e dell’insulina, oltre ovviamente all’introduzione degli agonisti del GLP-1 a partire dal 2008. In altre parole, vi è stato un aumento dell’intensità di trattamento che si è tradotto in un miglioramento del compenso metabolico, con un aumento dei soggetti a target di HbA1c (da 39% a 43,8%) e una parallela riduzione dei soggetti con valori francamente elevati (da 34,9% a 27,2%). Inoltre, è migliorata anche in maniera importante l’appropriatezza dei trattamenti; lo mostrano 3 indicatori chiave: -1,9% le persone in cura con sola dieta nonostante valori di HbA1c >7.0%; -14,1% quello dei non trattati con insulina nonostante valori di HbA1c >9.0%; -9%, infine, la quota di persone in cura con insulina che mostrano valori di HbA1c >9.0%. Tuttavia, nonostante il miglioramento delle attitudini prescrittive e dei risultati dell’assistenza, esistono ancora importanti margini di miglioramento. Ad oggi la quota di soggetti con valori di HbA1c superiori a 9% supera il 10%; nella donna sussistono percentuali più elevate nelle fasce di HbA1c più insoddisfacenti, come accade anche al di sotto dei 55 anni, nei soggetti con più lunga durata di malattia e in quelli trattati con insulina. E anche nel diabete tipo 2 esistono differenze tra regione e regione, indice probabilmente della disuniformità di risorse che possono condizionare gli atteggiamenti del medico e della necessità di implementare politiche sanitarie più omogenee sul territorio nazionale”, conclude Giorda.