Una fotografia mostra come i tre tagli eseguiti durante l’operazione siano veramente piccoli, il maggiore dei quali raggiunge a stento i 5 centimetri. In Italia si è manifestata un’attenzione crescente per la chirurgia mini invasiva, tanto che, afferma il dottor Pio Maniscalco, uno dei chirurghi che ha eseguito l’intervento, “si è costituito un gruppo, Vats Group, che raccoglie nel proprio database l’esperienza dei centri che eseguono lobectomie mininvasive.” L’Unità Operativa di Chirurgia toracica di Cona è inserita in questo gruppo, e lo stesso dottor Maniscalco coordina un gruppo di ricerca. Il database è molto importante perché consente di monitorare a livello nazionale tutti i centri che hanno eseguito lobectomie toracoscopiche. Ad oggi i pazienti trattati sono quasi mille e 55 i centri che hanno aderito al gruppo. Nel nosocomio ferrarese è stato eseguito il primo intervento di sleeve lobectomy toracoscopica, metodica studiata dal professor Cavallesco durante i suoi numerosi corsi di aggiornamento negli Stati Uniti. “E’ un intervento riservato a quelle forme tumorali che nascono all’interno dei bronchi, esattamente come aveva la paziente trattata”, spiega il professor Cavallesco. Con una metodica tradizionale, si sarebbe proceduto all’asportazione radicale della parte malata, con rimozione del polmone. Attraverso la sleeve lobectomy, l’équipe ha preservato gran parte dell’organo. Le difficoltà sono tuttavia maggiori rispetto ad una metodologia tradizionale, che è già di per sé complessa.
Con la videoscopia diminuisce infatti la manualità all’interno dell’accesso chirurgico. Un ruolo fondamentale l’hanno avuto gli endoscopisti,guidando il chirurgo toracico nella rimozione del tumore. Dopo l’asportazione della parte malata, i chirurghi hanno riunito le parti sane dell’albero bronchiale, salvaguardando così la parte inferiore del polmone destro della paziente;è una sorta di autotrapianto, volto alla conservazione della funzionalità dell’organo. Questo è il primo tipo di tumore endobronchiale trattato con la tecnica video. Durante l’atto chirurgico, è stato fondamentale l’apporto di tutte le figure professionali: la gestione è stata infatti multidisciplinare. L’équipe era composta da: i chirurghi Cavallesco e Maniscalco, gli anestesisti Ragazzi e Paoluzzi, gli specializzandi Zani, Amadori, Garelli, gli infermieri strumentisti Fiorindo e Cavicchi, gli endoscopisti Pasquini e Ravenna, gli infermieri all’anestesia Della Valle e Zerbo, la dottoressa Colamussi e il professor Volta dell’Unità Operativa di terapia intensiva. Da segnalare che, come afferma Cavallesco, “la paziente sta bene, non ha eseguito nessuna terapia post operatoria e con l’intervento ha risolto la sua patologia”.
Quali pazienti possono essere trattati con questa tecnica? All’interno del Sant’Anna esiste un percorso, definito PDTA (percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il tumore del polmone) appositamente dedicato agli ammalati di tumore polmonare, che valuta lo stadio della malattia e lo stato di salute del paziente, per programmare un percorso individualizzato. Gli specialisti che si occupano della patologia tumorale stabiliscono poi quale può essere il trattamento più adatto ( chirurgico, chirurgico e chemioterapico, solo chemioterapico…) e quali pazienti possono essere operati con tecnica open oppure video. Veronica Capucci