Roma, 8 mar. (Adnkronos Salute) – L”emergenza medici’, ovvero la carenza di camici bianchi denunciata da tempo da enti, associazioni e sindacati di categoria, che mette a rischio la tenuta stessa del Servizio sanitario nazionale, “pesa soprattutto sulle donne che esercitano questa professione” non solo perché ormai rappresentano oggi la percentuale maggiore tra i dottori “ma anche per le difficoltà legate alle sostituzioni per gravidanza. Dopo un figlio, al rientro, si trovano ad essere penalizzate anche per la carriera e, in parte, si vedono anche colpevolizzate perché lasciano i loro carichi di lavoro ai colleghi che restano”. Lo spiega Antonella Vezzani, presidente dell’Associazione italiana donne medico (Aidm), facendo il punto con l’Adnkronos Salute in occasione dell’8 marzo, Festa della donna.
Il diritto alla maternità, insomma, “non è così garantito come si supporrebbe in un Paese avanzato come il nostro. Già le donne medico hanno figli in età avanzata perché il percorso di formazione è molto lungo. E nel periodo dello studio non ci sono garanzie per la maternità: se durante la specializzazione una studentessa ha una gravidanza deve sospendere il percorso di formazione e, quando rientra, deve recuperare”. Ciò che serve, quindi, “è un’attenzione maggiore sul piano organizzativo per garantire la possibilità di avere figli senza dover scegliere tra professione e famiglia. E’ necessario un supporto dello Stato, non tanto con aiuti di natura economica, perché parliamo di fasce sociali avvantaggiate, ma forme di sostegno che garantiscano la possibilità di avere una gravidanza senza penalizzazioni sul lavoro a tutti i livelli, come la garanzie di sostituzioni di maternità”.
Per le donne medico, continua Vezzani, “un obiettivo ancora da raggiungere è proprio quello della pari opportunità per la carriera e per l’ottenimento di posizioni apicali. Sicuramente stanno aumentando le donne che riescono ad assumere posizioni di vertice ma è un ‘cammino’ molto lento rispetto a quello che ci aspetterebbe visto il numero delle professioniste. Restano poco presenti, per esempio, come direttori generali, come direttori di unità operative, non si vede l’incremento che sarebbe logico”, conclude.