Roma, 9 gen. (AdnKronos Salute) – Contrordine: la crescente acidificazione degli oceani, dovuta all’aumento dei livelli di CO2, avrebbe un effetto trascurabile e non tale da provocare la comparsa di comportamenti anomali nei pesci della barriera corallina. E’ quanto emerge da uno studio condotto nell’arco di diversi anni dal team di Timothy Clark della Deakin University di Geelong, in Australia, e Josefin Sundin della Swedish University of Agricultural Sciences di Stoccolma, in Svezia, pubblicato su ‘Nature’, che smentisce quanto emerso da precedenti lavori.
Entro la fine del secolo l’acidificazione degli oceani dovrebbe superare il livello che il pianeta ha sperimentato negli ultimi 30 milioni di anni. Cosa che ha suscitato timori sui possibili effetti di questo fenomeno per gli ecosistemi marini. Precedenti ricerche avevano suggerito che l’acidificazione degli oceani avrebbe influito sulle capacità sensoriali e comportamentali dei pesci di barriera, ma c’erano diversità tra gli studi, anche se le specie analizzate e i metodi erano simili. Così il team ha testato la riproducibilità dei precedenti dati con uno studio di 3 anni condotto su oltre 900 pesci di sei specie diverse, sia in set naturali che in allevamento.
I ricercatori hanno esaminato fattori come il capacità dei pesci di evitare i predatori, i loro livelli di attività e la lateralizzazione (ovvero il fatto di favorire un emisfero del cervello piuttosto che l’altro durante le attività), scoprendo così che il maggiore livello di acidità dell’acqua non influiva su tali comportamenti. Insomma, il fatto di nuotare in acque sempre più acide non sembra influire sul livello o sul tipo di attività della fauna marina.
Gli autori sottolineano comunque l’importanza di replicare in futuro le indagini sugli effetti dell’aumento dei livelli di anidride carbonica sui comportamenti dei pesci. Inoltre ricordano che l’aumento dell’anidride carbonica atmosferica è legato comunque al riscaldamento degli oceani, e questo (invece) sta avendo un profondo effetto sui pesci.