Roma, 28 mar. (Adnkronos Salute) – L’immunoterapia sta rivoluzionando la storia naturale di diversi tumori. La dimostrazione arriva anche per l’oncologia ginecologica e, nello specifico, per il carcinoma all’endometrio, neoplasia del corpo dell’utero, con i risultati dello studio ‘Ruby’, presentati all’Annual Meeting of Women’s Cancer, organizzato dalla Society of Gynecologic Oncology americana, in programma a Tampa, in Florida. “La pratica clinica ha atteso per decenni un significativo progresso nello standard di cura per il carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente – afferma Mansoor Raza Mirza, ricercatore principale dello studio Ruby, oncologo dell’Ospedale Universitario di Copenaghen, Danimarca -. I risultati, soprattutto in considerazione delle istologie difficili da trattare incluse nello studio, dimostrano il supporto per un nuovo standard di trattamento con l’aggiunta di dostarlimab all’attuale chemioterapia standard”.
Lo studio – che ha interessato pazienti adulte con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente – ha confrontato l’impiego di dostarlimab, un immunoterapico, più chemioterapia standard (carboplatino-paclitaxel) seguita da dostarlimab rispetto a chemioterapia più placebo seguita da placebo. I risultati mostrano una riduzione del 72% e del 36% del rischio di progressione della malattia o di morte , rispettivamente, nella popolazione con una condizione genetica nota come instabilità dei microsatelliti (dMMR/MSI-H) e nella popolazione complessiva di pazienti.
“Siamo emozionati”, lo studio Ruby “cambierà la pratica clinica”, commenta, Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e Ginecologia, responsabile Uos Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Irccs Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma, in collegamento da Tampa, in un incontro con i giornalisti organizzato da Gsk, che ha sviluppato l’immunoterapia. “Oggi – continua Lorusso – abbiamo circa 10mila pazienti con diagnosi all’anno e 3mila che muoiono di tumore dell’endometrio che, per anni, è stato considerato a buona prognosi. Questo ha portato a un disinvestimento sulla ricerca e sulle cure. La conseguenza è che oggi è l’unica patologia oncologica con mortalità in aumento. Nell’80% dei casi la diagnosi avviene quando è confinato all’interno dell’utero, ma nella recidiva, in forma avanzata, la mediana di sopravvivenza è a 3 anni. Fino a ieri avevamo solo la chemioterapia con carboplatino e taxolo”.
Il tumore dell’endometrio o del corpo dell’utero rappresenta la quasi totalità dei tumori che colpiscono il corpo dell’utero ed è il quarto tumore più frequente nella popolazione femminile dopo quelli al seno, al colon e al polmone. In Italia ne sono affette 117mila donne. Oltre il 90% con più di 50 anni di età. “La grande scommessa dello studio Ruby – spiega Lorusso – era che l’immunoterapia con chemio potesse potenziare la chemioterapia. Il disegno statistico è complesso con due obiettivi: dimostrare la sopravvivenza libera da progressione di malattia e la sopravvivenza globale analizzando prima le pazienti che, per questioni genetiche, avendo una instabilità dei microsatelliti (dMMR/MSI-H, nello studio) erano più pronte alla terapia” e allargarlo poi alla popolazione complessiva delle pazienti. I risultati sono straordinari, sono cose che ad oggi non avevamo mai visto”.
Nello specifico, “per la prima volta in 20 anni da quando usiamo carboplatino taxolo – chiarisce – abbiamo avuto un miglioramento impressionante della HR (Hazard ratio), cioè della riduzione del rischio di progressione di malattia. Nella popolazione con instabilità dei microsatelliti – precisa l’esperta – l’HZ ha un valore di 0,28 che, di fatto, è una riduzione del 72% del rischio di progressione: è impressionate. A 2 anni, il rischio di progressione è ridotto del 16% nelle donne con chemioterapia sola, rispetto al 61% di quelle trattate con immunoterapie. Le curve (che descrivono la risposta ai 2 diversi trattamenti, ndr) sono separate da subito e si mantengono separate a lungo. Anche nella popolazione generale trattata con immunoterapia, a 2 anni, meno del 20% non ha ancora recidivato e l’HZ è 0,64, un valore importante. Abbiamo anche il dato della sopravvivenza globale (overall survival). Il risultato non è completo, è stato presentato con il 33% di maturità, ma a 2 anni il 56% dei pazienti con sola chemio è vivo, contro il 71% di chi chi ha fatto chemio e immunoterapia”.
I risultati dello studio – condivisi in una sessione plenaria virtuale della Società europea di oncologia medica (Esmo)e pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine – sono “positivi per tutti, sia nella riduzione del rischio di progressione della malattia che nella sopravvivenza globale – sottolinea Lorusso – Certo, il beneficio è diverso, con uno straordinario 0,28 di HR”, cioè di rischio di progressione bassissimo, “nelle pazienti con instabilità dei microsatelliti”, meno impattante, ma solido, lo 0,76 di HZ in chi non ha tale condizione genetica. Ma lo studio è positivo: significa la riduzione del 24% della progressione e del 27% del rischio di morte in una popolazione in cui per 20 anni non c’era stata alcuna novità. Non ci fermiamo qui – conclude – E’ l’inizio” di una rivoluzione che “cambia la storia di malattia per tutte le pazienti, cambia la pratica clinica”.