Roma, 29 mar. (Adnkronos Salute) – “Per le malattie lisosomiali non c’è alcun dubbio che lo screening sia utile, anzi necessario. Perché sia efficace, però, il test va effettuato entro le 72 ore di vita del neonato”. Così Giancarlo La Marca, direttore del Laboratorio screening neonatale allargato, Azienda ospedaliera universitaria Meyer di Firenze, a margine della presentazione del report dell’Istituto AstraRicerche con le esperienze di ‘best practice’ di due regioni – Veneto e Toscana – illustrato oggi nell’ambito della seconda edizione di ‘Raro chi trova’, iniziativa promossa da Takeda Italia con il patrocinio di Società italiana di pediatria (Sip), Associazione italiana Anderson-Fabry (Aiaf), Associazione italiana Gaucher (Aig), Associazione italiana mucopolisaccaridosi (Aimps) e Cometa Asmme, Associazione studio malattie metaboliche ereditarie.
“Per questo test – spiega La Marca – utilizziamo lo stesso prelievo di sangue classico, tre le 48 e le 72 ore di vita, dal tallone del neonato, la stessa procedura di spedizione del campione, lo stesso personale e la stessa tecnologia. Questo è il grande vantaggio dell’estensione e dell’inclusione delle malattie da accumulo lisosomiale al pannello nazionale che oggi è in vigore. Obiettivo principale dello screening è anticipare i sintomi del difetto e quindi questo è l’intervallo di tempo giusto, la finestra di tempo ottimale. Arrivare troppo precocemente potrebbe significare immaturità enzimatica, arrivare troppo più in là nel tempo potrebbe significare, al contrario, un ritardo nella diagnosi”.
Lo screening per la malattie lisosomiali “è indicato per tutti i neonati -assicura l’esperto -. È stato dimostrato che esiste un beneficio effettivo tra l’identificazione precoce del difetto”, ovvero la carenza (o la totale assenza) di alcuni enzimi lisosomiali, “e l’inizio precoce del trattamento. Iniziare il trattamento nel più breve tempo possibile dà sicuramente un aumento dell’aspettativa di vita e un miglioramento della qualità di vita”.
Riguardo l’esempio di ‘best practice’ della Regione Toscana, dove dal 2014 al 2022 sono stati effettuati 177mila screening neonatale, diagnosticati 26 casi di malattia di Fabry, 1 caso di mucopolisaccaridosi di tipo primo e 15 di malattia di Pompe, La Marca non ha dubbi: “Circa 180mila test realizzati nel progetto pilota in toscana rappresentano una numero significativo e i dati di frequenza sono un forte elemento razionale per l’estensione”. “Come era prevedibile ha dimostrato che tali patologie sono tutt’altro che rare quando le prendiamo in considerazione nel loro complesso. Singolarmente sono malattie rare ma all’interno del pannello delle malattie metaboliche sono relativamente frequente” conclude.