Roma, 9 mar. (Adnkronos Salute) – All’aumentare della gravità della Malattia venosa cronica (Mvc), una patologia che interessa la circolazione che dalla periferia arriva al cuore, è associato un aumento del rischio cardiovascolare, così come della mortalità da tutte le cause. Sono i risultati dello studio Gutenberg, recentemente pubblicato sull’European Heart Journal, che ha indagato, per la prima volta, in una popolazione generale, la prevalenza dell’insufficienza venosa cronica – stadio avanzato della Mvc – e l’associazione tra questa e le comorbidità cardiovascolari.
“Le evidenze scientifiche emerse – spiega Romeo Martini, presidente della Società italiana di angiologia e patologia vascolare (Siapav) – rimettono in discussione il pensiero convenzionale sulla separazione tra malattia venosa e arteriosa. L’osservazione delle gambe è fondamentale per diagnosticare la Mvc ma la presenza di vene varicose, edema, cambiamenti della pelle e ulcere devono essere considerate un potenziale campanello d’allarme di malattia cardiovascolare”. Spesso banalizzata e limitata a un semplice disturbo estetico delle gambe, è una delle malattie più diffuse in Occidente – spiega in una nota Servier – Nel nostro Paese colpisce circa 19 milioni di persone, dal 10% al 50% degli uomini e oltre la metà delle donne. Si tratta di una patologia venosa caratterizzata da un alterato ritorno del sangue dalla periferia al cuore, una condizione complessa, cronica e ingravescente, che tende a progredire velocemente verso stadi più avanzati, se non trattata correttamente.
“In condizioni normali – afferma Alberto Froio, professore associato di Chirurgia vascolare, Università degli Studi di Milano-Bicocca Fondazione Irccs-San Gerardo dei Tintori, Monza – lo spostamento del sangue dagli arti inferiori verso il cuore avviene grazie alla pressione esercitata dai muscoli delle gambe e dall’arcata plantare, con un flusso unidirezionale assicurato dalle valvole venose. Quando questo processo viene alterato, il sangue refluisce attraverso i lembi valvolari provocando la dilatazione delle vene sostenuto da un processo infiammatorio cronico. Nelle sue forme più severe la Mvc può provocare gravi complicanze come edema, pigmentazione della pelle, eczema fino alla comparsa di ulcere e trombosi venosa”.
“Ancora oggi – osserva Martini – il paziente con Mvc viene avviato a un percorso diagnostico-terapeutico (Pdta) limitato alla sola patologia degli arti inferiori. Sarebbe tempo che si definissero Pdta prendendo in considerazione i suggerimenti dello studio Gutenberg, vale a dire, prevedere ulteriori e semplici screening vascolari per i pazienti con Mvc negli stadi più avanzati. Un’anamnesi sulla familiarità per malattie cardiovascolari, la palpazione dei polsi arteriosi, la misura dell’indice pressorio caviglia/braccio e il dosaggio del colesterolo Ldl possono essere facilmente eseguiti sul paziente con Mvc evidenziando coloro a più elevato rischio cardiovascolare”.
Del resto, “le due patologie – aggiunge Leonardo De Luca, segretario generale dei cardiologi ospedalieri (Anmco) e cardiologo all’azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma – condividono alcuni fattori di rischio come l’età, il fumo, il diabete mellito, l’obesità e il sovrappeso, che si associano a una disfunzione dell’endotelio, un’infiammazione cronica e una trombosi che è dovuta al lento flusso e alla conseguente ipercoagulabilità che costituiscono le basi fisiopatologiche di entrambe le patologie” .
In linea con i risultati dello studio Gutenberg, “un’ipotesi che si sta facendo strada nella comunità scientifica – ricorda Roberto Pola, segretario Siapav – presuppone che sia l’infiammazione cronica il meccanismo biologico sottostante a queste due patologie. Infatti, nella patologia aterosclerotica, che è alla base dell’infarto e dell’ictus, si riscontra un importante contributo infiammatorio e d’altro canto anche nella malattia venosa cronica si osserva un’aumentata produzione di molecole infiammatorie”.