Roma, 19 lug. (Adnkronos Salute) – “Con circa 55.000 nuove diagnosi in un anno il tumore del seno rappresenta quasi un terzo di tutti i tumori che colpiscono le donne e il 14,6% di tutti i tumori diagnosticati nel nostro Paese. Numerosi i trattamenti e le terapie innovative disponibili che hanno cambiato la storia clinica delle pazienti. Ed essendo uno dei tumori più frequenti, deve essere affrontato con modelli che riescano a coniugare in maniera virtuosa l’aspetto clinico e quello organizzativo. La cura del tumore al seno nelle Breast Unit, ad esempio, ha un impatto notevole: riduce la mortalità a 5 anni del 18%. In questo contesto, si inserisce oggi la possibilità della territorializzazione come risposta alla necessità di un percorso di cura completo e omogeneo. Il “territorio” è da intendersi come un prezioso alleato delle strutture ospedaliere di oncologia, perché permette e favorisce una presa in carico più diffusa anche attraverso una coordinata dislocazione del personale sanitario che a rotazione può operare in diversi setting di cura tra ospedale e territorio”.
Così Rossana Berardi, ordinario di oncologia all’Università politecnica delle Marche e direttrice della Clinica oncologica dell’Aou Ospedali Riuniti di Ancona, nel suo intervento questa mattina alla Camera dei deputati in occasione della presentazione del documento “Onconnext – Tumore al seno e oncologia territoriale, un binomio necessario”, che per la prima volta vede le principali associazioni di pazienti con tumore al seno sottoscrivere un paper su questo tema: Andos onlus, Europa Donna Italia, Favo Donna, IncontraDonna onlus e Salute Donna onlus.
“La pandemia – prosegue Berardi, che è anche consigliere dell’Associazione italiana di oncologia medica e presidente di Women for Oncology Italy – ci ha evidenziato come nella presa in carico dei pazienti oncologici sia importante il ruolo del territorio e, soprattutto, quanto sia importantissimo evitare per pazienti e caregiver i “viaggi della salute” per raggiungere i centri di cura spesso lontano centinaia di chilometri dal comune di residenza del paziente. Ma ovviamente che non si può demandare al territorio tutto quello che viene fatto in ospedale. Al territorio si possono affidare prevenzione, follow-up e alcune terapie che possono essere fatte a livello domiciliare”.
Per l’oncologa è necessaria “una regia unica, che guardi il percorso che passa anche attraverso la formazione del professionale. Non ci devono essere un’oncologia di serie A (dell’ospedale) e un’oncologia di serie B (del territorio) – avverte Berardi – in modo tale che la paziente possa trovare la stessa équipe che sul territorio può prendersi cura della paziente”.
È evidente “che abbiamo dei problemi – conclude Berardi – uno su tutti, la carenza di organico, soprattutto di personale medico. E allora perché non guardare ai modelli anglosassoni in cui esistono figure intermedie che possano aiutarci in questa presa in carico? Figure determinanti, non necessariamente medici, che possono esserci di ausilio per la gestione della paziente, dell’aspetto della tossicità dei farmaci alla parte amministrativa. A giorni presenteremo i risultati di una survey su 1500 pazienti elaborata con l’Aiom. Un dato su tutti: il tempo burocratico è pari al tempo impiegato dallo specialista durante una visita medica. Potremmo fare il doppio se fossimo di più e supportati in una catena virtuosa che non aspetti l’ampliamento dei posti nella facoltà di Medicina o nelle Scuole di specializzazioni i cui benefici li vedremo tra 5-11 anni”.