Roma, 22 mag. (Adnkronos Salute) – Gli Pfas, composti chimici usati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua diversi tipi di materiali come tessuti, tappeti, rivestimenti, sono altamente persistenti nell’ambiente e “ormai sappiamo che possono danneggiare la fertilità, favorire gli aborti, indebolire le ossa e insidiare la salute del cuore. Ecco perché è necessario individuare strategie di intervento per tutelare i pazienti: la priorità è limitare i danni provocati da queste sostanze”. Lo sostiene l’endocrinologo dell’Università di Padova Carlo Foresta, nel corso di un seminario online dal titolo ‘Esposizione a Pfas e manifestazioni cliniche: quali evidenze scientifiche e ruolo del medico del territorio’. Il gruppo di Foresta, in collaborazione con l’Università di Padova, l’Ordine dei medici di Vicenza e la Fondazione Foresta, propone delle indicazioni destinate alle aree inquinate da Pfas, come accade in alcune aree del Veneto.
“E’ fondamentale che i medici del territorio siano attenti a individuare questo tipo di problemi, ma sarebbe anche opportuno avviare pratiche di prevenzione mirata”, aggiunge Foresta. In sintesi, gli studiosi sottolineano l’importanza della comprensione dei meccanismi attraverso i quali queste sostanze agiscono sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati, sul metabolismo fosfo-calcico e sul sistema emo-coagulativo. “E’ decisivo che i medici di base possano intervenire subito con esami e approfondimenti specifici in alcuni ambiti ben definiti”, raccomanda Foresta. “Serve, ad esempio, una precoce analisi del potenziale di fertilità nei giovani e del rischio di tumore al testicolo. Ma anche una possibilità di intervento farmacologico con progesterone nelle donne che presentano abortività e un’individuazione precoce di ipovitaminosi D con attenta integrazione sostitutiva. Infine, è decisiva la valutazione del rischio trombo-embolico e delle patologie associate per una precoce prevenzione mediante aspirina”, sintetizza l’esperto.
“Appare sempre più evidente l’urgenza di ricerche sui meccanismi di eliminazione di queste sostanze dall’organismo: possono infatti essere presenti a elevate concentrazioni anche ad anni di distanza dal momento dell’esposizione”, ricorda l’endocrinologo. Durante il convegno il presidente del’Ordine dei medici di Vicenza, Michele Valente, ha condiviso la proposta di focalizzarsi su quattro aree di possibili interventi sanitari in base ai sintomi del paziente, anche nell’ottica di anticipare situazioni che col tempo potrebbero compromettersi ulteriormente.
Recentemente è stato dimostrato che gli Pfas, agendo come interferenti endocrini, bloccano l’azione del principale ormone sessuale maschile, il testosterone. Queste interferenze potrebbero avere un ruolo nella ridotta fertilità. Ecco dunque che il suggerimento ai medici del territorio è quello di prestare una particolare attenzione per l’individuazione precoce di queste problematiche. L’effetto di queste sostanze inquinanti sull’attività funzionale del progesterone suggerisce inoltre la possibilità di una terapia farmacologica nel trattamento delle poliabortività delle donne delle aree colpiste dall’inquinamento da Pfas. Come suggerito da Andrea Carosso, ginecologo dell’Aogoi, “si può ipotizzare un trattamento con progesterone esogeno nelle donne che vivono in zone esposte e che vogliono avere figli, per ridurre gli effetti negativi indotti dagli Pfas a livello dell’endometrio uterino”.
E ancora: diversi studi segnalano una riduzione della massa ossea in donne e uomini esposti a Pfas, anche giovanissimi. Una ricerca di Foresta e del collega Andrea Di Nisio ha dimostrato che queste sostanze interferiscono sul recettore per la vitamina D, riducendone l’attività e favorendo così lo sviluppo di osteoporosi. I ricercatori propongono quindi ai medici del territorio di individuare precocemente, attraverso il dosaggio della vitamina D circolante, situazioni di ipovitaminosi D nella popolazione esposta, ricorrendo in caso di bisogno all’integrazione farmacologica con vitamina D.
Infine di recente il gruppo di Foresta, in collaborazione con Paolo Simioni, ha evidenziato il ruolo degli Pfas nell’attivare le piastrine, rendendole più suscettibili alla coagulazione, e predisponendo così ad un aumento del rischio cardiovascolare. “Sembra che l’inquinante agisca modificando la struttura della membrana cellulare delle piastrine”, spiega Luca De Toni dell’Università di Padova. Le ultime ricerche dimostrano che questo fenomeno può essere contrastato dall’aspirina, farmaco già utilizzato in alcune condizioni di alterata aggregazione piastrinica. E Pietro Minuz, ordinario dell’Università di Verona, sottolinea che in vitro questo farmaco si è dimostrato in grado di ridurre l’attività protrombotica degli Pfas.