Roma, 29 mar. (Adnkronos Salute) – Lo screening neonatale esteso (Sne) può aiutare migliaia di bambini che ogni anno vanno incontro a disabilità gravissime o a morte prematura per malattie rare. Lo confermano i risultati del report dell’Istituto AstraRicerche con le esperienze di ‘best practice’ di due regioni – Veneto e Toscana – presentati oggi nell’ambito della seconda edizione di ‘Raro chi trova’, iniziativa promossa da Takeda Italia con il patrocinio di Società italiana di pediatria (Sip), Associazione italiana Anderson-Fabry (Aiaf), Associazione italiana Gaucher (Aig), Associazione italiana mucopolisaccaridosi (Aimps) e Cometa Asmme, Associazione studio malattie metaboliche ereditarie.
La Legge di Bilancio 2019 (art.1 C. 544) – spiega una nota congiunta – stabilisce l’inserimento di 10 patologie metaboliche, tra cui le malattie da accumulo lisosomiale, nella lista nazionale dello screening neonatale, modificando di conseguenza la Legge 167/2016. Ma fino ad oggi questo obiettivo non ha ancora trovato compimento. Eppure, le condizioni ci sono tutte. Le esperienze e testimonianze di clinici, società scientifiche e associazioni dei pazienti sul valore e l’utilità dello screening neonatale esteso per le malattie da accumulo lisosomiale, raccolte nel report condotto da AstraRicerche su progetti pilota portati avanti dalle regioni Toscana e Veneto, parlano chiaro. Sono vari i motivi per cui è necessario includere nello Sne le malattie da accumulo lisosomiale: la frequenza di casi positivi riscontrata sugli oltre 400mila test effettuati nei progetti pilota in queste regioni è un forte elemento razionale per la sua estensione, accanto all’elevata frequenza della sintomatologia non neonatale. Altro dato significativo è la sostenibilità economica. Lo Sne ha un relativo basso costo, qualche decina di euro a neonato: l’inserimento delle patologie da accumulo lisosomiale non cambierebbe le cose.
Dal report emerge inoltre l’esigenza di rivedere il modello di screening, nonostante il sistema italiano sia un esempio virtuoso, con pochi centri, ma molto selezionati, ad alta tecnologia e con personale super specializzato. Resta però la necessità di inserire questo modello di best practice in un percorso che deve servire a migliorare la storia naturale della malattia, con una presa in carico della coppia di genitori a partire dalla gravidanza. Il report è stato portato all’attenzione delle istituzioni con l’obiettivo di sensibilizzarle ad accelerare l’estensione del panel dello Sne, la cui utilità – ricorda la nota – non è in discussione. Una diagnosi precoce può cambiare l’approccio terapeutico e la vita del paziente e questo è vero soprattutto per le malattie da accumulo lisosomiale, patologie croniche di origine genetica che si manifestano spesso nei primissimi anni di vita causate da un difetto o assenza di uno degli enzimi contenuti nei lisosomi.
“Lo screening neonatale è effettuato solo per le malattie che rispondono a precise caratteristiche: disponibilità di un test per le medesime, applicabilità del test all’intera popolazione di neonati, e che si tratti di malattie trattabili – ricorda Giancarlo La Marca, direttore Laboratorio screening neonatale allargato, Azienda ospedaliera universitaria Meyer di Firenze – Le malattie lisosomiali sono l’emblema dei punti interrogativi sullo screening neonatale: non c’è alcun dubbio che lo screening sia utile, anzi necessario; ma alcune mutazioni hanno manifestazioni molto tardive e l’interrogativo è se si debba comunicare ai genitori che il loro bambino avrà la manifestazione della malattia, che potrebbe presentarsi anche dopo 40 o 50 anni di vita. Diverso è il caso delle forme a esordio precoce, delle forme gravi fin dall’infanzia per le quali lo screening neonatale dà notevole vantaggio”.
Lo screening consiste in un test che analizza l’attività enzimatica specifica di ciascuna malattia, a cui segue, nei casi positivi, un secondo esame di conferma che ricerca i metaboliti caratteristici. I laboratori sono pronti: bisogna efficientare il sistema. “Nelle malattie da accumulo lisosomiale non parliamo più solo di screening, ma di programma di screening, in quanto non si tratta di fare solo un’analisi, ma anche prendere in carico il paziente per cambiare l’outcome della malattia in modo definitivo – sottolinea Alberto Burlina, direttore Uoc di malattie metaboliche ereditarie, Azienda ospedaliera universitaria di Padova – Non c’è un motivo per non inserire le malattie lisosomiali nello Sne: la strumentazione e il personale sono gli stessi, e anche se serve l’expertise specifico, nulla cambia per il paziente, nulla cambia per il centro nascite né per il trasporto del materiale organico e per il laboratorio”.
La diagnosi precoce è un momento cruciale per la vita di una persona affetta da una malattia da accumulo lisosomiale e in tal senso il vero potenziale dello screening neonatale, esempio di sistema virtuoso in Italia, deve essere ancora pienamente realizzato. L’impegno delle istituzioni è fondamentale, così come è fondamentale il contributo, dal punto di vista dell’informazione e della sensibilizzazione, di iniziative come Raro chi trova.
“Le malattie rare sono la priorità di Takeda – afferma Annarita Egidi, General Manager Takeda Italia – per questo la nostra azienda promuove l’iniziativa di informazione e sensibilizzazione Raro chi trova, giunta alla sua seconda edizione. Siamo decisi a collaborare con le istituzioni per fare meglio conoscere questi temi e per promuovere nello specifico lo screening neonatale. I pazienti con malattie rare, come le malattie da accumulo lisosomiale, sono spesso soli e senza punti di riferimento. Una delle priorità in questa area è l’ampliamento della lista delle malattie incluse nello screening attuale, garantendone in tutte le regioni un’applicazione omogenea e assicurando una effettiva presa in carico del paziente positivo. Per molte malattie rare la possibilità di iniziare tempestivamente una terapia, grazie alla diagnosi precoce, permette di ridurre molto e, in qualche caso, di azzerare gli effetti di queste patologie che determinano danni permanenti e irreversibili del sistema nervoso, disabilità intellettive, fisiche e di sviluppo, portando a una riduzione dell’aspettativa di vita o a morte”.
Società scientifiche e associazioni dei pazienti – conclude la nota – auspicano quindi l’inserimento delle patologie ‘in attesa’ nel panel nazionale di screening, per garantire a tutti i neonati gli stessi diritti, a prescindere dalla regione di nascita.