Roma, 29 mar. (Adnkronos Salute) – “Nelle malattie rare Takeda è protagonista, fortemente impegnata con un portfolio già importante a livello industriale, una pipeline e una direzione strategica di ricerca che verte fortemente su tali patologie. Basti pensare che il 50% delle molecole che abbiamo in sviluppo saranno con designazione di farmaco orfano e ancora di più in generale nelle malattie rare”. Così Andrea De Giorgi, responsabile della Business Unit Malattie rare di Takeda Italia, a margine della presentazione del report dell’Istituto AstraRicerche con le esperienze di ‘best practice’ di due regioni – Veneto e Toscana – illustrato oggi nell’ambito della seconda edizione di ‘Raro chi trova’, iniziativa promossa a Roma da Takeda Italia con il patrocinio di Società italiana di pediatria (Sip), Associazione italiana Anderson-Fabry (Aiaf), Associazione italiana Gaucher (Aig), Associazione italiana mucopolisaccaridosi (Aimps) e Cometa Asmme.
“Noi siamo impegnati nelle malattie di natura genetica – sottolinea De Giorgi – quindi le malattie da accumulo lisosomiale, nell’emofilia, negli studi di coagulazione, nelle neuroscienze, nella gastroenterologia e nell’oncologia, con un budget di investimento di circa 5 miliardi di dollari all’anno che è considerevole all’interno del settore industriale. Riteniamo che questa sia la nostra missione dal punto di vista della ricerca, però riteniamo anche, sulla base dell’esperienza, che la nostra proposta debba essere un lavoro più completo all’interno di percorsi strategici per i pazienti, un lavoro che parta dalla diagnosi e arrivi al post-diagnosi per un corretto follow-up della parte terapeutica. In Italia siamo nella direzione giusta, ma dobbiamo sempre più fare sistema con gli altri interlocutori: istituzioni, politica, società scientifiche, associazioni pazienti, per garantire una uniformità anche regionale all’approccio diagnostico e terapeutico”.
Sul report dell’Istituto AstraRicerche con le esperienze di ‘best practice’ di Veneto e Toscana, De Giorgi sottolinea: “Takeda ha investito insieme alla partnership di 4 associazioni di pazienti impegnate nelle malattie da accumulo lisosomiale nell’iniziativa già da due anni, con il contributo della Società italiana di pediatria”. In questa edizione “abbiamo affrontato un tema molto caldo, ovvero l’estensione dello screening neonatale e del valore che può portare nel corso diagnostico e terapeutico di questi pazienti. Le esperienze e i dati riscontrati nei due progetti pilota, realizzati con il contributo di importanti clinici, dimostrano come la diagnosi precoce favorita dallo screening neonatale abbia un contributo importante nello sviluppo della malattia”. Queste malattie “tendenzialmente sono a carattere progressivo – evidenzia De Giorgi – quindi riuscire a individuare prima l’insorgenza dei sintomi consente un percorso terapeutico importante e di maggiore efficacia. Evitare l’insorgere dei sintomi consente un percorso più semplice dal punto di vista dell’aspettativa di vita e della qualità di vita”.
“L’estensione dello screening neonatale delle malattie lisosomiali è stata già stipulata nel 2019 dal punto di vista della Legge di Bilancio, però di fatto non è andata ancora in essere. Riteniamo – conclude – che questa iniziativa riesca a dare valore all’importanza di dover completare quel processo”.