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Alzheimer: nuove cure per rallentare la malattia

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L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce la memoria e le funzioni cognitive, causando progressivi problemi di orientamento, linguaggio, ragionamento e comportamento. Si stima che in Italia ci siano circa 600 mila persone affette da Alzheimer, e che questo numero possa raddoppiare entro il 2030 a causa dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta di una patologia ancora incurabile, ma per la quale sono in corso diverse ricerche per trovare nuove cure in grado di rallentarne l’evoluzione e migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari.

Aducanumab: il primo farmaco approvato negli USA

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Una delle novità più attese nel campo delle cure per l’Alzheimer è l’aducanumab, il primo farmaco approvato negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (FDA) dopo quasi 20 anni di stop. Si tratta di un anticorpo monoclonale che agisce riducendo la quantità di proteina beta-amiloide nei tessuti cerebrali delle persone affette dalla patologia. La beta-amiloide è una delle due proteine che si accumulano nel cervello dei malati di Alzheimer, formando delle placche che interferiscono con il funzionamento dei neuroni. L’aducanumab, somministrato per via endovenosa una volta al mese, sarebbe in grado di ridurre le placche amiloidi e rallentare il declino cognitivo nei pazienti con Alzheimer in fase lieve o moderata.

Tuttavia, l’approvazione dell’aducanumab ha suscitato anche molte polemiche e dubbi tra gli esperti, in quanto i dati clinici disponibili non sono ancora conclusivi sull’efficacia e la sicurezza del farmaco. Infatti, due studi di fase III condotti su oltre 3 mila pazienti hanno dato risultati contrastanti: uno ha mostrato un beneficio significativo del farmaco rispetto al placebo, mentre l’altro no. Inoltre, il farmaco può causare degli effetti collaterali gravi, come emorragie cerebrali ed edema cerebrale. Per questi motivi, la FDA ha richiesto al produttore del farmaco, la Biogen, di condurre un ulteriore studio post-marketing per confermare i benefici clinici dell’aducanumab e monitorare i rischi. Nel frattempo, il farmaco sarà disponibile solo in alcuni centri specializzati negli USA, a un costo molto elevato (circa 56 mila dollari all’anno).

Donanemab e Lecanemab: altri due farmaci sperimentali promettenti

Oltre all’aducanumab, ci sono altri due farmaci sperimentali che si basano sullo stesso meccanismo d’azione: il donanemab e il lecanemab. Entrambi sono degli anticorpi monoclonali che mirano a rimuovere la beta-amiloide dal cervello dei pazienti con Alzheimer.  Entrambi i farmaci sono attualmente in fase di sperimentazione clinica di fase III, per verificare ulteriormente la loro efficacia e sicurezza.

La speranza è che questi farmaci possano offrire una nuova opzione terapeutica per i pazienti con Alzheimer, in grado di modificare il decorso della malattia e non solo di trattarne i sintomi. Tuttavia, è importante ricordare che la beta-amiloide non è l’unica causa dell’Alzheimer, e che esistono altri fattori coinvolti nella patogenesi della malattia, come la proteina tau, l’infiammazione, lo stress ossidativo e le alterazioni metaboliche. Pertanto, è necessario continuare a ricercare altre strategie terapeutiche che possano agire su più fronti e prevenire o ritardare l’insorgenza della malattia.

La riabilitazione cognitiva: un supporto fondamentale

Oltre alle cure farmacologiche, un altro aspetto cruciale nella gestione dell’Alzheimer è la riabilitazione cognitiva, ovvero un insieme di interventi non farmacologici che mirano a stimolare le capacità cognitive residue dei pazienti e a compensare le funzioni perdute. La riabilitazione cognitiva si basa su esercizi specifici che coinvolgono la memoria, l’attenzione, il linguaggio, il ragionamento e le abilità visuo-spaziali, con l’obiettivo di mantenere il più a lungo possibile l’autonomia e la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari. La riabilitazione cognitiva può essere svolta in modo individuale o di gruppo, in ambito ambulatoriale o domiciliare, con l’ausilio di professionisti qualificati (neuropsicologi, logopedisti, terapisti occupazionali) e di strumenti tecnologici (computer, tablet, smartphone).

In particolare, la riabilitazione cognitiva può migliorare la memoria episodica (la memoria degli eventi personali), la memoria semantica (la memoria delle conoscenze generali), il linguaggio (la capacità di esprimersi e comprendere), le funzioni esecutive (la capacità di pianificare e risolvere problemi) e le abilità sociali (la capacità di interagire con gli altri). Inoltre, la riabilitazione cognitiva può ridurre i sintomi depressivi e ansiosi, aumentare l’autostima e il benessere psicologico, diminuire i disturbi comportamentali (come l’aggressività e l’apatia) e favorire il coinvolgimento dei familiari nel processo riabilitativo.

Una riabilitazione su misura

Per essere efficace, la riabilitazione cognitiva deve essere personalizzata in base alle caratteristiche individuali dei pazienti, tenendo conto del loro livello di gravità della malattia, delle loro abilità cognitive residue, dei loro interessi e delle loro preferenze. Inoltre, la riabilitazione cognitiva deve essere integrata con altre misure di supporto, come la terapia farmacologica, l’educazione sanitaria, il counseling psicologico, l’assistenza domiciliare e il sostegno sociale. Solo così si potrà offrire una cura globale e multidimensionale ai pazienti con Alzheimer e ai loro familiari.

L’Alzheimer è una malattia complessa e sfuggente, che richiede un approccio multidisciplinare e innovativo per contrastarne gli effetti devastanti. Le nuove cure farmacologiche rappresentano una speranza per modificare il corso della malattia e rallentarne la progressione. Tuttavia, non sono ancora disponibili per tutti i pazienti e non sono esenti da limiti e incertezze. Per questo motivo, è fondamentale continuare a investire nella ricerca scientifica e nella sperimentazione clinica per trovare nuove soluzioni terapeutiche più efficaci e sicure.

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